Delle Invenzioni a due e a tre voci di Bach vi ho già raccontato abbastanza, di recente. Guardatevi questo video, su Youtube, e poi quest’altro., se ve li eravate persi, così capite perché vengano considerate piccoli, preziosi gioielli di intarsio armonico e sonoro. Oggi ho provato un quartino (un pianoforte quarto di coda) Yamaha, il GC1, lungo “soli” 161 centimetri, in una stanza vuota, così vuota da far impallidire il reverbero della Cattedrale di Notre Dame.

Lo studio del pianoforte è lungo. Si tratta di una vera e propria orchestra sotto alle dita, e il pianista può essere considerato come un direttore d’orchestra, che deve dirigere ed ascoltare ogni musicista (le dieci dita) affinché il suono che produce si armonizzi con quello degli altri orchestrali (le altre nove dita) per realizzare l’intenzione musicale che ha in testa.

Io ho ricominciato a suonare il pianoforte dopo quarant’anni in cui l’unica tastiera che ho usato è stata quella del computer, e dunque ho tanta strada da fare per essere considerato anche solo un pianista dilettante, ma quel poco che ho imparato, in questi anni della maturità, si può riassumere in questo: suonare non è una questione di agilità meccanica. Le dita, anche se è necessario un po’ di allenamento, poi si adeguano. Il corpo fa quel che dice la mente. Ed è proprio questo il punto. Cosa dice la nostra mente? Quanta musica abbiamo in testa? Cosa sentiamo? Cosa capiamo del discorso musicale?

Una volta che siamo in grado di immaginare la musica che vogliamo, dipingendo sonorità che emergono dalle nostre emozioni più intime, allora sarà molto più semplice far sì che il nostro corpo, in totale sinergia con lo strumento meccanico che ne diventa un’estensione, produca il risultato che vogliamo, ovvero comunichi. Musica è comunicare agli altri, con un linguaggio universale che non ha bisogno di interpreti, le nostre emozioni.

La questione non è secondaria, perché se suonare non significa mostrare i muscoli degli anulari, ma comunicare un’idea, allora è alla testa che bisogna guardare innanzitutto per riuscire a partorire quell’idea. E quindi bisogna studiare, ma non per forza sulla tastiera. La parte più importante la si fa lontano dalla tastiera. Ad esempio leggendo gli spartiti, imparando ad analizzarli, facendo un po’ del caro vecchio noiosissimo solfeggio cantato. Se sei in grado di leggere una nota, che altro non è che una macchiolina su un foglio di carta, e riportarla alla vita, cantarla senza bisogno di uno strumento, allora hai imparato ad esprimerti usando, anziché le parole, il linguaggio musicale, la magia delle frequenze. A quel punto, il pianoforte, o la chitarra, o il flauto traverso non saranno più un fine, ma un mezzo. Si tratterà solo di imparare a padroneggiare uno strumento meccanico per convertire l’energia, la sorgente ispirazionale che sgorga dalla tua anima in onde sonore, sfruttando gli espedienti meccanici che l’arte e l’ingegno umano hanno saputo partorire nei secoli (gli strumenti musicali).

Se ci pensate, non è diverso da quello che fa un architetto quando immagina una casa che esiste solo nei suoi sogni, e la traduce in un progetto, usando le abilità tecniche ottenute con lo studio, affinché gli operai possano trasformare la sua fantasia in realtà.

Oggi la società sembra essere preda dell’idolatria tecnologica, come se il mezzo fosse una divinità da adorare, quasi che vivesse di vita propria (come le chat nel campo dell’intelligenza artificiale). E invece la tecnologia, così come la tecnica, sono solo un mezzo. Senza l’uomo, senza il pensiero, senza il desiderio bruciante di un essere umano perennemente in cerca di risposte e di perché, nel suo incessante tentativo di condividere il suo percorso esistenziale con gli altri (da qui l’esigenza di trovare il linguaggio giusto per comunicare), non esisterebbe nessun pianoforte, nessuna gru per costruire le case, nessuna conversazione artificiale con un software che si finge umano…

Per questo è importante abituarsi a spostare indietro l’obiettivo del nostro agire, a retrocederlo internamente a noi stessi, smettendo di proiettarlo in un fuori che è solo una proiezione dell’amore, inteso come energia dirompente, che alimenta il nostro esistere. L’uomo (l’essere umano) deve essere rimesso al centro, perché tutto origina da lui.

Questa consapevolezza da sola avrebbe ripercussioni devastanti sulle priorità che la società oggi si è data. Se l’uomo è il protagonista unico di tutto ciò che crea, allora deve nascere un nuovo umanesimo dove la priorità è la crescita e la difesa della persona umana.

Questa mattina ho cercato di originare un po’ di frequenze positive, emanate da un strumento meccanico posto nel mio angolo di universo. Spero che abbiano raggiunto molti posti, nello spazio distante, come una radiofrequenza emessa da una stella lontana. Per essere più sicuro, le ho anche caricate su Youtube. 😀

Si tratta delle Invenzioni a due voci di Bach, la numero 13 in la minore, la numero 8 in fa maggiore e la numero 4 in re minore. Non saranno esecuzioni memorabili, ma l’importante è che facciano stare bene me. Sono un tentativo di comunicazione con l’universo tutto intorno. La mia speranza è che questo possa stimolare qualcuno a provarci. La bellezza è il destino dell’essere umano. Perché altro dovremmo forse vivere?