C’era una bambina che non c’è più

C’era una bambina che non c’è più. Aveva quattro anni e mezzo. Una sera aveva mal di pancia. L’hanno portata al Pronto Soccorso, il posto dove si prendono cura dei bambini. Però quella sera non se ne sono presi cura. Hanno detto che aveva solo mal di pancia. Invece aveva un’occlusione intestinale. Il giorno dopo quella bambina ci è tornata. I genitori hanno supplicato i medici di indagare meglio, perché non poteva essere un normale mal di pancia. Anche perché quella bambina, alla pancia, era stata operata. I medici non li hanno ascoltati. Loro erano medici: avevano il camice bianco. Quelli invece erano due babbani, genitori di una bambina che aveva un semplice mal di pancia. Ma la bambina è morta, e tre anni dopo quei medici, che ancora poco tempo fa si lamentavano su Facebook dei genitori che portano i bambini al pronto soccorso per un banale mal di pancia, sono stati condannati. E dopo la condanna, i loro avvocati hanno avuto il coraggio di chiedere una riduzione del risarcimento, perché tanto quei genitori stavano per avere un altro figlio, e quindi il danno era inferiore.

Questa storia non è accaduta nella capanna dove opera lo stregone africano, e neppure negli studi professionali di quelli che vengono definiti ciarlatani della medicina alternativa, ma al Sant’Orsola di Bologna. E come questa ce ne sono tantissime in Italia, di continuo: la bambina di 17 mesi di Aosta che la madre insisteva a dire che non respirava, ma veniva continuamente rimandata a casa; il bimbo di 4 anni con la peritonite che il policlinico di Milano ha dimesso con una tachipirina e che è morto poco dopo; il bimbo di 2 anni, di San Donà, visitato la mattina, dimesso dal pronto soccorso di San Donà e morto quattro ore dopo, al quale, nonostante le disperate richieste telefoniche del padre, non volevano mandare neanche un’ambulanza; la bimba di cinque anni rimandata a casa senza una diagnosi dal pronto soccorso del “Cervesi e morta poco dopo per perforazione dell’appendicite… Il bimbo di 10 mesi cui al Regina Margherita è stata recisa per sbaglio l’aorta… Divertitevi a fare una ricerca su Google e preparate qualche scatola piena di fazzolettini, ne avrete bisogno.

In Italia ci sono sessanta milioni di persone – si dirà –, e ogni giorno si muore. Gli errori possono accadere… Certo, possono accadere. Ci sono tanti bravi medici e tanti casi in cui hanno salvato vite. Qui non si tratta di prendere i casi di peggiore malasanità e farne una regola. Si tratta tuttavia di fare delle riflessioni doverose.

I medici sono fallibili e in quanto tali devono essere messi in discussione

Innanzitutto, se gli errori possono accadere, allora fanno bene le persone che non credono ai medici in quanto divinità infallibili. Siamo entrati nell’era di una nuova religione, chiamata “scienza” (erroneamente identificata con la medicina, che è ancora sperimentale), i cui sacerdoti indossano un camice bianco e non possono essere criticati né messi in discussione. Quando parla uno di questi sacerdoti, gli altri, i fedeli (noi comuni mortali), dovrebbero secondo le istituzioni e i media mettersi in ginocchio e ricevere la benedizione (che troppo spesso è una estrema unzione). Invece no: i medici sono solo persone che anziché studiare ingegneria, architettura, letteratura o ereditare l’officina meccanica di papà, hanno scelto di studiare medicina, troppo spesso appannaggio dei figli dei primari e dei loro raccomandati. Questo non fa di loro creature soprannaturali, non gli attribuisce un’aurea di onnipotenza e non li esime dall’essere educati, gentili ma soprattutto disponibili ad ascoltare e valutare con attenzione quanto i pazienti, che non sono medici ma sono proprietari del loro corpo fisico e quindi depositari di un sapere biologico innato, gli riferiscono. Se una madre implora un medico di fare una radiografia perché il mal di pancia della bimba non le sembra affatto “normale”, soprattutto in presenza di un pregresso fattore di rischio, quel medico – o meglio quell’uomo – ha il dovere morale di ascoltarla, e non dall’alto in basso, ma da pari a pari, perché su questa Terra nessuno è meglio dell’altro, indipendentemente dal lavoro che fa. L’astronauta deve rispetto anche al contadino e al panificatore, senza i quali non mangerebbe neppure.

La sanità pubblica è un paravento dietro al quale la sanità privata macina profitti

La seconda riflessione è che decenni di politica infiltrata dalle lobby delle multinazionali hanno volutamente distrutto il modello sanitario pubblico, una volta forse il migliore al mondo, per favorire i guadagni della sanità privata, togliendo le strutture ospedaliere dai territori, tagliando decine e decine di migliaia di posti letto, togliendo decine di migliaia di sanitari, sottopagando quelli che restano e sottoponendoli a turni massacranti, consentendo lo scandalo delle visite e degli esami in regime di libera professione nella stessa struttura ospedaliera, crimine che ha prodotto l’impossibilità per i pazienti di prenotare una visita con il servizio sanitario nazionale in tempi accettabili e compatibili con la malattia, mentre per chi ha centinaia di euro da sborsare allora quegli stessi medici, in quegli stessi ambulatori, con quelle stesse apparecchiature ricevono chiunque anche il giorno dopo.

Tutto questo non può non incidere sulla qualità delle prestazioni, pronto soccorso compreso. Se non ci sono soldi per pagare i medici, allora i turni diventano lunghi, il personale diventa sempre meno attento, e i neolaureati anziché fare anni di tirocinio si mettono a fare le diagnosi, con tutte le conseguenze del caso. Conseguenze che non toccano i ricchi o i benestanti, che possono permettersi le diagnosi dei migliori centri privati. Ma questa non è giustizia sociale, a meno che non si parta dal presupposto che il ricco sia migliore del povero, perché ha saputo, meglio del povero, piegare le risorse e le persone alle sue necessità. C’è gente che la pensa così: fa parte ad esempio della Fabian Society, e crede nell’Homo Homini Lupus. La Fabian Society esprime anche ministri italiani, che dovrebbero garantire lo stato sociale, e il cortocircuito si chiude.

Se poi a tutto questo aggiungiamo la spocchia e il delirio narcisistico di alcuni sanitari, che sui social sfogano le proprie miserie umane promettendo crudeli punizioni agli eretici che osano criticare i desiderata delle case farmaceutiche, diventa più che comprensibile la sfiducia di tanti cittadini sia nel servizio sanitario (che di pubblico ormai ha molto poco), e perfino la paura di essere ricoverati, alla mercé di gente che può rivelarsi senza scrupoli né spessore umano di alcun tipo, immersa come è in una dimensione corporativa che attribuisce più valore alle carriere e alle ricche consulenze finanziate da gruppi di interesse privati, che al rapporto con il paziente.

Alle radici del problema della sanità

Volendo risalire alle radici del problema (perché tutto ha una causa che produce effetti a cascata), non si può ignorare il fatto che le politiche economiche in ambito sanitario dipendono dalla spesa pubblica, che a sua volta ha subito pesanti tagli in conseguenza dell’imposizione di un nuovo modello di finanziamento dello Stato: quello della collocazione dei titoli sul mercato primario (le grandi banche d’affari). Prima del 1981, anno del divorzio tra il la Banca d’Italia e il Tesoro (il ramo del Ministero dell’Economia che si occupa di maneggiare le risorse finanziarie), lo Stato disponeva la produzione di risorse monetarie (stampava moneta) sulla base delle necessità della spesa pubblica. Si produceva inflazione, ma anche ricchezza. Per l’aumento del costo della vita c’erano le scale mobili: gli stipendi erano indicizzati al paniere dei prodotti e l’Italia era tra le prime potenze economiche mondiali. E avevamo una sanità pubblica che insegnava a tutto il mondo come prendersi cura dei cittadini. I neoliberisti o gli squali della scuola di Chicago vi diranno che così però c’era la corruzione (la politica stampava moneta per comprarsi il consenso).

Giudicate da soli se oggi le cose vadano meglio, dopo che nel 1981, con un colpo di mano, il Tesoro e la Banca d’Italia vennero separate, e da quel momento se lo Stato, per finanziare la sua spesa pubblica, dovette inasprire le tasse (impoverire la popolazione) oppure indebitarsi attraverso l’emissione di titoli di debito pubblico (quelli che hanno portato alla famosa emergenza dello spread nel 2011, che ha consegnato il paese proprio nelle mani dei neoliberisti alla Mario Monti).

Come si ricatta una democrazia

Quando uno Stato, anziché da se stesso, è costretto a dipendere dalla speculazione finanziaria per fare spesa pubblica (infrastrutture, scuole, sanità…), non ci vuole Einstein per dedurne che il principio guida dell’azione politica, da quel momento, non sarà più il benessere dei cittadini, non sarà più ciò che serve a tutti, ma sarà “ciò che conviene a pochi”, cioè quello che i più ricchi ti consentiranno di fare in cambio di un prestito che deve avere la garanzia di essere restituito con gli interessi.

Ma c’è di peggio: siccome i più ricchi sono anche quelli nelle cui mani si concentrano tutte le strutture di produzione mondiali, delle banche alle assicurazioni all’industria farmaceutica fino a quella dell’energia (il famoso “dio quattrino” di cui vi ho parlato su Byoblu anni fa), è allora facile capire come possano costringere la politica di uno Stato a piegarsi a ciò che loro conviene, semplicemente ricattandola sul piano economico finanziario. È quello che accadde nel 2011, quando a Montecitorio e a Palazzo Madama si aggiravano individui emissari della Troika (la triplice alleanza del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Centrale Europea e della Commissione Europea), a spiegare ai parlamentari che o davano la fiducia per il costituente Governo Monti, oppure attraverso il controllo del rendimento dei titoli di Stato avrebbero provocato il default (il fallimento) del Paese, rendendoli di fatto disoccupati senza stipendio.

Come uscirne?

Uscire da questo meccanismo infernale non è facile, purtroppo. Siamo in presenza di un élite globale, che amministra in questo modo i paesi più importanti dell’occidente. Ricordiamo ad esempio che la Commissione Trilaterale, la potente organizzazione mondiale nata per piegare le democrazie alle esigenze del mercato, di cui proprio Mario Monti fu presidente per lungo tempo, non si fa scrupolo di nascondere il fatto che, con il suo ramo italiano, forgia come una fucina i ministri che poi andranno a svolgere il loro ruolo all’interno dei futuri governi. Senza contare che controllano anche l’informazione: le porte girevoli della Commissione Trilaterale si sono aperte anche per la ex presidente Rai Monica Maggioni, ora ritornata nuovamente a condurre programmi giornalistici nel cosiddetto servizio “pubblico”.

Trovandosi di fronte a un mostro tentacolare che controlla tutto a livello globale, uscirne senza dichiarare guerra al mondo è impresa disperata. Lo sanno bene tutti i sovranisti che, dopo lunghi anni di opposizione, si ritrovano al Governo del Paese: si adeguano alle politiche sovranazionali, mettendo da parte le loro perplessità per quando torneranno sui banchi dell’opposizione e continueranno ad essere funzionali al sistema, liberi di berciare e catturare importanti sacche di dissenso. Accade in ogni ambito: valga su tutti ricordare la giravolta dell’ex Ministro della Salute Giulia Grillo, che dopo avere tuonato anni contro la legge Lorenzin sull’obbligatorietà vaccinale ed averci fatto una intera campagna elettorale, una volta giunta a ricoprire lo scranno più importante per le politiche sanitarie ha completamente abbandonato i suoi propositi.

La soluzione

La soluzione non l’abbandono della politica, come molti ritengono essere la sola cosa da fare. Quello è uno dei territori di scontro e va presidiato, come si deve fare con un’importante parte della scacchiera. Abbandonarlo non può che peggiorare le cose. Ma è innegabile che aspettarsi che tutto possa essere risolto a Roma, oggi, è un’ingenuità che condanna all’irrilevanza.

Bisogna ad esempio costruire nuovi poli di produzione economica sostenuti da chi ha capito e che, a loro volta, sostengano chi crede in valori e principi diversi: aziende, fabbriche, negozi, centri commerciali “altri”, dove tutti possiamo far confluire le nostre disponibilità.

Bisogna costruire servizi finanziari etici e pubblici, che non abbiano tra le finalità l’arricchimento dei soci che li possiedono, ma la facilitazione degli scambi economici e del risparmio.

Bisogna poi costruire servizi di formazione indipendenti dalle logiche del sistema e che non crescano cittadini orientandoli a soddisfare i bisogni di pochi: scuole, università, ma anche teatri, centri ricreativi, eventi… E bisogna usare tutte queste risorse per finanziare una sanità di prossimità, umana, che metta, cioè, al centro la persona e il suo benessere, a cui ci si possa rivolgere per consulti, visite, esami, con la certezza di trovare personale qualificato e disponibile.

Medici così esistono. Ce ne sono tanti, soprattutto tra quelli che non si sono piegati alle logiche imposte dalle multinazionali della salute negli scorsi anni e per questo sono stati umiliati, infangati, mortificati fino all’estrema, pubblica gogna: quella di essere stati cacciati dal lavoro. Queste persone si sono organizzate in gruppi di lavoro e di formazione, e stanno anche aprendo delle strutture in cui sperimentare un primo approccio ad una sanità diversa. La loro esperienza va messa a fattor comune, e deve essere sostenuta dal nuovo paradigma di produzione economica che va sostenuto senza se e senza ma. Così come è necessario far crescere una nuova classe di giornalisti liberi e indipendenti, puntando sulla creazione di nuovi periodici e nuove televisioni che non siano legati ai finanziamenti delle multinazionali.

Circuito produttivo, circuito finanziario etico, circuito culturale e formativo, circuito sanitario parallelo a quello ormai privato – che ancora chiamiamo pubblico – e informazione indipendente: questi sono i fattori che, se perseguiti con metodo e determinazione, possono costruire un nuovo gruppo di interessi forte e capace di incidere e sostenere i membri al suo interno: i cittadini liberi che, ancora sono consapevoli dei loro diritti, liberi vogliono restare.

Non ci vorranno settimane, mesi e neppure anni. Ma, come dice il saggio, Il primo momento buono per piantare un albero era quarant’anni fa. Il secondo momento buono è adesso.