Le guerre non le decidono i popoli. Le decidono i potenti. Però hanno bisogno del consenso dei popoli, che sono quelli che le guerre le devono fare. Se i potenti raccontassero ai popoli perché vogliono fare una guerra, quali sono i loro veri motivi, i popoli non le farebbero. Allora devono inventare balle. Devono convincere i popoli, ognuno i suoi, che dall’altra parte esistono mostri sanguinari e violenti, e che bisogna combattere per non cadere vittima delle tenebre, perché il male non deve prevalere, il bene trionferà e così via. Si chiama propaganda. Dove c’è una guerra, c’è sempre la propaganda. Noi siamo in guerra a tutti gli effetti, e quindi siamo immersi in una grande, immensa cupola di propaganda.

I buoni diventano i cattivi, i cattivi diventano i buoni. Gli aggressori diventano aggrediti, gli aggrediti aggressori. Una storia che si ripete, sempre uguale a se stessa, dall’inizio dei tempi. La propaganda ha bisogno dei media come un mago ha bisogno della sua bacchetta magica. Hollywood è nata con i film dei cowboys buoni e degli indiani cattivi, ma erano i bianchi che invadevano le terre dei pellirosse, e non viceversa.

L’occidente, in quanto a propaganda, non è secondo a nessuno. L’abbiamo inventata noi, durante la prima guerra mondiale, quando i soldati restavano per mesi nelle trincee, a trenta metri da quelle del nemico, e sentendo i soldati avversi cantare, ridere e scherzare, non volevano più combatterli. Allora serviva qualcosa che li motivasse a odiare gli altri. Sulla base delle teorie degli psicologi e sociologi austriaci, ideatori di questa nuova tecnica, arrivavano allora in trincea dispacci con cadenza periodica, portati dai sacerdoti, che leggevano storie inventate di crimini orrendi compiuti dalle forze nemiche, ai danni delle mogli, dei figli, delle donne. E l’odio cresceva. Chi odia non ragiona, è cieco. Chi odia è come un TIR lanciato a 180 all’ora contro un muro. Ecco a cosa serve la propaganda, a far sì che i popoli odino a sufficienza, abbastanza da volersi fare del male e volerne fare agli altri. Goerge Orwell, che la Fabian Society la conosceva bene, lo aveva spiegato bene nel suo testo capolavoro, 1984. I due minuti di odio erano la quintessenza della propaganda: un grande schermo dove veniva mostrato il mostro, il nemico comune, il male assoluto, contro il quale tutti potevano inveire, sfogare le proprie frustrazioni, la rabbia per le proprie condizioni. L’obiettivo da abbattere per risolvere tutti i problemi del mondo. Un mostro che non esisteva, ma non fa niente, perché la legge del branco esige un capro espiatorio, reale o inventato che sia.

Così, di volta in volta, nascono Bin Laden, il terrorista islamico, Putin, ma anche lo spread, i sovranisti, i no vax… Tutti mostri proiettati sullo schermo per due minuti al giorno e dati in pasto all’ira virtuale delle belve riunite in branco: i teledormienti.

La propaganda ha bisogno di controllare quello schermo. Lo schermo è il nuovo totem, la nuova religione. Dallo schermo arrivano le immagini del nuovo Dio, arriva il nuovo testamento scritto dagli spin doctor. E’ tutta una grande fiction globale.

C’era una puntata delle prime serie di Star Trek, in cui due pianeti eternamente in guerra, stanchi di distruggere e ricostruire ogni volta le loro città e le loro infrastrutture, avevano fatto un singolare accordo: la guerra si decideva con un algoritmo. Era il computer a stabilire quali e quante persone dovessero morire per ognuna delle due popolazioni. Le persone che dovevano morire, si recavano spontaneamente in un centro per essere eliminate. E così, nell’assenza di una violenza distruttiva percepita, i due pianeti continuavano la loro vita normale, e nessuno sentiva più l’esigenza di fermare una guerra invisibile, inesistente, dove senza nessun clamore ogni giorno sparivano delle persone. Una guerra senza guerra, senza fine, senza dolore, senza indignazione. Un videogame, una… fiction.

Noi siamo come quei popoli: ci insegnano a odiare, ma in fondo è un odio anche quello virtuale: è solo sulla carta. Un odietto costante, cronico, senza soluzione. Non serve di più. Al potere basta impegnarci per due minuti al giorno, due soli minuti di odio quotidiani, il tempo di guardare i titoli dei telegiornali, affinché ci sia il consenso per continuare a inviare armi. È tutto lì quanto ci è richiesto di fare: odiare, un pochino. E poi continuare ad occuparci delle nostre cose, come se nulla fosse. Conveniente, no? Perché mai sbattersi a fare guerre, a tentare di scongiurarle, a sabotare, resistere, invadere, sterminare, perdere figli, fratelli, padri, fare lunghi processi di pace… Invece, ecco qui: un po’ di odietto ogni giorno, e poi tutti a guardare le partite, il Grande Fratello, Sanremo e a discutere della crisi tra Fedez e la Ferragni.

Così, nell’indifferenza generale, niente cambierà mai. I potenti continueranno a perseguire i loro obiettivi, le masse a odiare quel tanto che basta, senza disturbare. Shhhhhhhhhh!

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